La
decisione di realizzare una spedizione in Bolivia e in Cile rappresenta una
continuità del progetto Atahualpa, che ci ha permesso di ampliare le nostre
esperienze multidisciplinari.
Questa breve relazione
preliminare illustra le dinamiche esplorative sviluppate prima nel Salar di Uyuni, poi nei deserti di
Atacama ed infine sulla sommità del vulcano Licancabur.
In tre settimane
abbiamo affrontato varie difficoltà, percorso quasi 5000 chilometri e siamo
passati dalle temperature torride dei deserti alle temperature glaciali
registrate sulla sommità del vulcano Licancabur.
Abbiamo attraversato il
Deserto di Salar di Uyuni e mappato
le grotte in corallo scoperte cinque anni fa in aree remote con un potenziale
immenso.
Tre obiettivi in
contemporanea, nel corso dello stesso viaggio, per continuare l'esplorazione e
la documentazione topografica delle cavità parzialmente esplorate nelle
spedizioni precedenti, come la Cueva des
Estrellas e la Cueva Coral
L'insidia principale sono
state le temperature - che di giorno hanno raggiunto i 50°C al suolo! - e la
completa assenza di acqua, che ci hanno obbligato a muoverci con una logistica
medio leggera operando le ricognizioni di superficie durante le ore più
"fresche" per poi esplorare le cavità al riparo dal sole
atacameno.
Concludiamo questa
prima parte della spedizione con un buon bottino, scoperte 4 nuove grotte con
potenziale medio alto ed allacciato relazioni con un gruppo speleo che ha
mostrato grande disponibilità a realizzare spedizioni congiunte.
La seconda parte ci
vede impegnati nel salar di Uyuni, la più grande distesa salata del pianeta,
regno surreale di miraggi con il suo paesaggio secco che riflette il cielo come
se fosse uno specchio, un luogo inquietante e unico che vogliamo esplorare per
valutare la possibilità di realizzare una grande spedizione speleologica con i
nostri gli amici, le guide del parco nazionale di Torotoro, splendide persone
con cui abbiamo già diviso un sacco di esperienze.
Il salar è maestoso e sotto
la volta del cielo dell’altopiano boliviano, a più di 3600 metri di altitudine,
ricopre un’area di 12000 chilometri quadrati. Dobbiamo utilizzare i GPS per la
navigazione perché in alcuni momenti si perdono gli orizzonti.
Al centro del, si trova
la Isla Incahuasi punteggiata di cactus: un’isola verde che offre un panorama a
360 gradi. Con una camminata di trenta minuti si raggiunge la cima e si può
ammirare il panorama a tutto tondo, ci fermiamo un giorno ed allestiamo il
campo base, nella notte i generatori ci permettono di caricare le batterie
delle attrezzature speleo e dei droni che ci aiuteranno a sorvolare e
documentare le aree circostanti Tupiza per trasferirci successivamente verso i
geyser e le lagune Colorada e Verde.
L’area dove abbiamo svolto
la seconda parte della spedizione è all’interno dei 70000 metri quadri della
Reserva Nacional Fauna Andina Eduardo Avaroa.
Ci spostiamo
successivamente nella regione di Los Lipez, area rocciosa dove documentiamo nei
pressi di San Huan delle tombe di epoca precoloniale scavate nel corallo.
Ci trasferiamo infine a
sud ovest del Salar tra i geyser del Sol de Mañana. Pozze di fango che ribolle,
zampilli che schizzano verso il cielo, fumarole infernali e spruzzi di vapore a
più di 4800 metri di altitudine. Viviamo un’esperienza intensa in una mattina
gelida, ma che sarà presto ripagata quando, a fine giornata ci immergiamo nelle
vasche naturali di acqua calda.
Nel frattempo abbiamo
raggiunto le pendici del Licancabur terzo obiettivo della spedizione, sono
oramai 8 giorni che siamo alla quota di circa 4500 metri sul livello del mare,
e questo periodo ci aiuta nel processo di acclimatamento, fondamentale per
affrontare le fatiche degli ultimi giorni.
Due giorni di
preparazione per la salita alla cima del vulcano per poi scendere nel cratere
ed immergersi nel laghetto centrale per la seconda volta al mondo,
Valutiamo con
accuratezza le attrezzature da trasportare che sono molte e pesanti, e
decidiamo come la volta precedente che solo un esploratore realizzerà
l’immersione per documentare alcune strutture intraviste nel 2014. Rinunciamo
ad utilizzare i droni, ci sono venti fortissimi e si rischia di perderli.
Partiamo all’alba e
raggiungiamo la vetta dopo circa 7 ore, poi un paio di ore per creare un foro
nella superficie ghiacciato dello specchio d’acqua che si trova al centro del
cratere, la temperatura esterna e meno 20 gradi e quella dell’acqua raggiunge a
malapena i 2 gradi.
Splendida e impegnativa
immersione, peccato che la macchina fotografica congela e non funziona, quindi
niente immagini del fondale.
30 minuti di
immersione, rilevazioni topografiche delle strutture sommerse e poi veloci
fuori a cambiarsi per iniziare la discesa, che dura circa 5 ore.
Rientriamo al rifugio a
notte fonda con temperature polari e stanchezza estrema.
La spedizione Uyuni
2017 è terminata con successo, i dati raccolti ci permetteranno di approfondire
teorie e fare delle pubblicazioni.
E’ confermato un grande
potenziale, ed è auspicabile programmare una successiva spedizione.
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